“Nei procedimenti penali riguardanti reati sessuali, spesso concepiti come calvario per le vittime, possono essere adottate alcune misure per tutelare le stesse purché la tutela del loro diritto possa essere bilanciata con un esercizio adeguato ed efficace dei diritti della difesa”. È quanto ha stabilito di recente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo alla quale si è rivolto Josip Mraovic il quale, nel 2008, è stato ritenuto colpevole di violenza sessuale nei confronti di una giocatrice di basket della squadra di Gospic e condannato a tre anni di reclusione. Nel caso portato avanti alla Corte di Strasburgo, il ricorrente ha sostenuto che il processo sopra citato, essendosi svolto a porte chiuse ad eccezione della lettura del dispositivo, era stato celebrato in violazione dell’articolo 6, comma 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (“Diritto a un processo equo”) il quale dispone che “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente e pubblicamente”. Nello specifico, Mraovic ha accusato le autorità giudiziarie dalle quali era stato giudicato colpevole di non aver effettuato un corretto bilanciamento tra il suo diritto ad avere un dibattimento pubblico e il diritto di proteggere la vita privata di I.J. Diritto, quest’ultimo, che la stessa ragazza, secondo il ragionamento del ricorrente, non avrebbe tutelato rilasciando, in pendenza di processo, numerose interviste nelle quali forniva dettagli privati riguardanti i fatti in causa.
Con la Sentenza n. 30373/13 del 14 maggio 2020 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha affermato che, per quanto concerne i giudizi riguardanti le violenze sessuali, la celebrazione a porte chiuse è finalizzata a tutelare la privacy, l’integrità e la dignità della vittima proteggendola, inoltre, dal cosiddetto rischio di vittimizzazione secondaria. Il fatto che la persona offesa avesse volutamente parlato con i giornalisti non ha in alcun modo dispensato lo Stato dai suoi obblighi di protezione: secondo quanto affermato dalla Corte al punto 55 della decisione, durante l’esame incrociato, diversamente da quanto accade durante i colloqui programmati con i media, la persona offesa si ritrova, infatti, a rivelare aspetti privati della propria vita senza alcuna barriera di protezione. Per tali ragioni, la Corte ha respinto il ricorso del Signor Mraovic ritenendo legittima la decisione del Tribunale della Contea di Rijeca il quale, al fine di tutelare I.J., aveva escluso il pubblico dal processo.